venerdì 29 maggio 2015

Il New Deal di Roosevelt

"Pochi mesi dopo essere stato eletto all'incarico, il presidente Franklin Delano Roosevelt mise in atto il primo di una serie di progetti legislativi per rimettere in piedi l'economia americana.

Il National Industrial Recovery Act (NIRA) del 1933 impegnò il Paese in un programma esteso di opere pubbliche per una spesa di miliardi di dollari.

Nel presentarlo agli americani, Roosevelt chiarì che «il nostro primo scopo è la creazione, in tempi brevissimi, di occupazione»."

Cit. da "La fine del lavoro" di Jeremy Rifkin - 1995
(Nuova edizione Oscar Mondadori 2004) 


giovedì 28 maggio 2015

Roosevelt blocca la "Legge Black"

"Roosevelt convinse la Commissione regolamenti della Camera a bocciare la «legge Black-Connery» in cambio dell'approvazione del National Industrial Recovery Act (NIRA), che permetteva al governo di stabilire la durata della settimana lavorativa in settori specifici.

Tanto il Congresso quanto le organizzazioni sindacali capitolarono, in buona parte perché la legislazione NIRA conferiva ai sindacati il potere di rappresentanza e apriva la strada alla contrattazione collettiva con le imprese, una richiesta che i rappresentanti dei lavoratori avevano a lungo sostenuto presso il legislatore federale."

Cit. da "La fine del lavoro" di Jeremy Rifkin - 1995
(Nuova edizione Oscar Mondadori 2004)

mercoledì 27 maggio 2015

La proposta di legge Black

"Il 31 dicembre 1932, il senatore dell'Alabama Hugo L. Black presentò al Senato degli Stati Uniti una proposta di legge per rendere obbligatoria la settimana lavorativa di 30 ore, che veniva definita come «l'unico metodo praticabile e possibile per gestire la disoccupazione».

Black si rivolse alla nazione attraverso la radio, chiedendo al popolo americano di sostenere la «legge delle 30 ore».

Egli prevedeva che l'approvazione del provvedimento avrebbe portato all'immediato riassorbimento di 6,5 milioni di disoccupati nel sistema produttivo e avrebbe rappresentato un beneficio per le imprese, incrementando il potere d'acquisto di milioni di nuovi assunti."

Cit. da "La fine del lavoro" di Jeremy Rifkin - 1995
(Nuova edizione Oscar Mondadori 2004)

martedì 26 maggio 2015

La settimana "corta"

"Il 20 luglio 1932, il consiglio direttivo della AFL [American Federation of Labor], riunitosi ad Atlantic City, stilò la bozza di una dichiarazione che faceva richiesta al presidente Hoover di indire una tavola rotonda tra i leader delle organizzazioni imprenditoriali e i sindacati, con lo scopo di avviare il progetto della settimana lavorativa di trenta ore, per «creare nuove opportunità di lavoro per milioni di donne e di uomini che versano in condizioni di disagio».

Con l'ansia di stimolare il potere d'acquisto dei consumatori e non vedendo altre praticabili vie d'uscita, molti manager e imprenditori aderirono – riluttanti – alla campagna per la riduzione dell'orario."

Cit. da "La fine del lavoro" di Jeremy Rifkin - 1995
(Nuova edizione Oscar Mondadori 2004)

lunedì 25 maggio 2015

Meno ore lavorative

"Nel 1932, le organizzazioni dei lavoratori avevano già spostato l'accento dell'argomentazione a sostegno della riduzione d'orario dalla qualità della vita alla giustizia economica.

I leader sindacali vedevano la disoccupazione tecnologica come «il naturale risultato dell'aumentata efficienza, dei surplus economici e della limitatezza dei mercati».

Sostenevano che, se la nazione voleva evitare una disoccupazione diffusa e permanente, era necessario che la comunità degli affari condividesse con i lavoratori i benefici che discendevano dalla maggiore produttività, attraverso la riduzione delle ore lavorative."

Cit. da "La fine del lavoro" di Jeremy Rifkin - 1995
(Nuova edizione Oscar Mondadori 2004)

venerdì 22 maggio 2015

Una via d'uscita!

"Nel corso degli anni Trenta molti economisti ortodossi ipotizzarono che l'aumentata efficienza e la crescente produttività, generata dalle tecnologie laborsaving, stavano solo esacerbando la crisi economica di tutte le nazioni industriali.

Sindacalisti, manager, economisti e funzionari governativi iniziarono a cercare una via d'uscita per quella che molti ormai consideravano la «vera» contraddizione del capitalismo.

Le organizzazioni dei lavoratori cominciarono a fare pressioni a livello politico per la riduzione dell'orario di lavoro come equa soluzione alla crisi, rivendicando per i lavoratori il diritto a partecipare ai guadagni generati dall'aumento di produttività."

Cit. da "La fine del lavoro" di Jeremy Rifkin - 1995
(Nuova edizione Oscar Mondadori 2004)

giovedì 21 maggio 2015

I nuovi concetti del marketing

"I nuovi concetti del marketing e della pubblicità, che avevano lentamente guadagnato terreno nei decenni precedenti, negli anni Venti riuscirono a decollare come riflesso della crescente determinazione delle imprese a vuotare i magazzini e aumentare il ritmo dei consumi per poter sfruttare la sempre crescente produttività.

I marchi, che un tempo erano una stranezza, divennero una figura permanente dell'economia americana: dopo la guerra civile, il solo prodotto di marca che si poteva vedere sugli scaffali dell'emporio di ogni città o villaggio era il cioccolato Baker; ancora agli inizi del Novecento, la maggior parte dei negozi vendeva generi come lo zucchero, l'aceto, la farina, i chiodi e le spille sciolti e senza marchio, da botti o barili."

Cit. da "La fine del lavoro" di Jeremy Rifkin - 1995
(Nuova edizione Oscar Mondadori 2004)

mercoledì 20 maggio 2015

La cultura del consumatore

"Negli anni Venti emerse un nuovo campo di analisi della teoria economica, l'«economia del consumo», e un numero crescente di economisti dedicò i propri sforzi intellettuali al comportamento del consumatore.

Il marketing, che fino a quel momento aveva occupato un ruolo periferico nelle attività aziendali, assunse una nuova importanza.

Nello spazio di una notte, la cultura della produzione venne sostituita dalla cultura del consumatore.

Il nuovo interesse per il marketing rifletteva una crescente consapevolezza, da parte del mondo delle imprese, dell'importanza cruciale del consumatore per la sopravvivenza dell'economia."

Cit. da "La fine del lavoro" di Jeremy Rifkin - 1995
(Nuova edizione Oscar Mondadori 2004)

venerdì 15 maggio 2015

Il consumo di massa

"Il fenomeno del consumo di massa non è stato spontaneo, e non è neppure un inevitabile sottoprodotto dell'insaziabilità della natura umana.

È invece abbastanza vero il contrario.

Gli economisti attivi nei primi anni del secolo hanno notato che la maggior parte dei lavoratori era paga di guadagnare un reddito appena sufficiente per soddisfare i bisogni primari e per concedersi qualche piccolo lusso; una volta raggiunto questo livello di reddito, preferivano incrementare il tempo libero, invece di aggiungere altre ore alla giornata lavorativa per ottenere reddito extra."

Cit. da "La fine del lavoro" di Jeremy Rifkin - 1995
(Nuova edizione Oscar Mondadori 2004)


giovedì 14 maggio 2015

La fine dei consumatori?

"Marx era convinto che il continuo sforzo dei produttori per sostituire il lavoro umano con quello delle macchine si sarebbe dimostrato, alla fine, autolesionista.

Elimininando direttamente il lavoro umano dal processo di produzione e creando un esercito di riserva di disoccupati – la cui pressione sui salari contribuisce alla riduzione del costo del lavoro – il capitalista scava la propria fossa, dal momento che riduce progressivamente il numero di consumatori che detengono un potere d'acquisto sufficiente a sostenere la domanda dei beni che produce."

Cit. da "La fine del lavoro" di Jeremy Rifkin - 1995
(Nuova edizione Oscar Mondadori 2004)

mercoledì 13 maggio 2015

La sostituzione dei lavoratori

"L'idea che l'innovazione tecnologica inneschi una spirale perpetua di crescita e occupazione ha incontrato, nel corso della sua storia, alcuni oppositori determinati.

Nel primo volume del Capitale, pubblicato nel 1867, Karl Marx argomentava che i produttori tentano continuamente di ridurre il costo del lavoro e di guadagnare un maggior controllo sui mezzi di produzione attraverso la sostituzione dei lavoratori con le macchine in ogni situazione che lo consenta.

Il capitalista trae profitto non solo dalla maggior produttività, dal contenimento dei costi e dal maggior controllo sull'ambiente di lavoro, ma anche – in via indiretta – dalla creazione di una numerosa armata di riserva di disoccupati, la cui forza lavoro sia immediatamente sfruttabile in altri comparti dell'economia."

Cit. da "La fine del lavoro" di Jeremy Rifkin - 1995
(Nuova edizione Oscar Mondadori 2004)

martedì 12 maggio 2015

L'"effetto a cascata" della tecnologia

"Il concetto che gli incommensurabili benefici indotti dall'avanzamento della tecnologia e dall'aumento della produttività riescano a diffondersi fino alla massa dei lavoratori in forma di prezzi inferiori, maggior potere d'acquisto e più occupazione costituisce essenzialmente una teoria dell'«effetto a cascata» della tecnologia.

Mentre i tecnologi, gli economisti e gli uomini d'impresa usano raramente il termine «cascata» per descrivere l'impatto dell'innovazione sui mercati e sull'occupazione, i loro presupposti filosofici sono un chiaro segnale dell'implicita accettazione di questo principio."

Cit. da "La fine del lavoro" di Jeremy Rifkin - 1995
(Nuova edizione Oscar Mondadori 2004)

lunedì 11 maggio 2015

Un falso mito

"Per più di un secolo, gli economisti hanno convenzionalmente accettato come un dato di fatto la teoria che afferma che le nuove tecnologie fanno esplodere la produttività, abbassano i costi di produzione e fanno aumentare l'offerta di beni a buon mercato; questo, in conseguenza, migliora il potere d'acquisto, espande i mercati e genera più occupazione.

Tale assunto ha fornito il supporto razionale sul quale si sono fondate le politiche economiche di tutte le nazioni industrializzate.

Questa logica sta oggi conducendo a livelli mai registrati finora di disoccupazione tecnologica, a un declino apparentemente inarrestabile del potere d'acquisto e allo spettro di una recessione globale di incalcolabile grandezza e durata."

Cit. da "La fine del lavoro" di Jeremy Rifkin - 1995
(Nuova edizione Oscar Mondadori 2004)


venerdì 8 maggio 2015

Un domani migliore?

"Oggi, intorno a noi, assistiamo all'applicazione di tecnologie avanzatissime, capaci di eseguire compiti straordinari.

Siamo stati portati a credere che le meraviglie della tecnologia moderna rappresentino la nostra salvezza.

Milioni di persone hanno riposto le proprie speranze di un domani migliore nel potenziale liberatorio della rivoluzione informatica.

Eppure, le fortune economiche della maggior parte dei lavoratori continuano a deteriorarsi, mettendo in imbarazzo i seguaci dei guru della tecnologia."

Cit. da "La fine del lavoro" di Jeremy Rifkin - 1995
(Nuova edizione Oscar Mondadori 2004)


giovedì 7 maggio 2015

Un principio di equità

"Una distribuzione ispirata a principi di giustizia ed equità prevederebbe una diminuzione dell'orario lavorativo in tutto il mondo e uno sforzo concertato dei governi centrali per fornire alternative di occupazione nel «terzo settore» – l'economia sociale – agli individui espulsi dal mercato del lavoro.

Se, invece, i guadagni di produttività realizzati grazie alle alte tecnologie non venissero condivisi – ma utilizzati prevalentemente per incrementare i profitti d'impresa, a esclusivo beneficio degli azionisti, dei top manager e dell'emergente élite dei knowledge workers – ci sono ampie probabilità che la crescente spaccatura tra ricchi e poveri conduca sollevazioni sociali su scala mondiale."

Cit. da "La fine del lavoro" di Jeremy Rifkin - 1995
(Nuova edizione Oscar Mondadori 2004)

martedì 5 maggio 2015

Liberi dal lavoro!

"La rivoluzione dell'alta tecnologia può significare meno ore di lavoro o più benefici per milioni di persone.

Per la prima volta, nella storia moderna, un gran numero di individui potrebbe essere liberato dalla necessità di trascorrere molte ore della propria giornata sul posto di lavoro, a favore di attività più piacevoli.

D'altra parte le stesse forze possono condurre alla disoccupazione di massa e alla depressione globale.

Il fatto che questo futuro sia utopico o distopico dipende, in larga misura, da come verranno ripartiti i guadagni conseguiti grazie alla maggior produttività."

Cit. da "La fine del lavoro" di Jeremy Rifkin - 1995
(Nuova edizione Oscar Mondadori 2004)

La paura e la rabbia!

"In Europa la paura della disoccupazione crea un diffuso disagio sociale ed è la fonte della resurrezione dei movimenti politici neofascisti.

Le paure e la rabbia degli elettori hanno preso corpo nelle urne, facendo la fortuna dei partiti di estrema destra in Germania, Italia e Russia.

In Giappone la preoccupazione diffusa della disoccupazione sta spingendo i principali partiti ad attribuire, nei propri programmi politici, una sempre maggiore importanza alla questione lavoro, per la prima volta da decenni."

Cit. da "La fine del lavoro" di Jeremy Rifkin - 1995
(Nuova edizione Oscar Mondadori 2004)

lunedì 4 maggio 2015

Una trasformazione radicale

"La maggior parte dei lavoratori si sente assolutamente impreparata ad affrontare la radicale trasformazione in corso.

Pare che l'attuale ondata di innovazioni tecnologiche e di ristrutturazioni aziendali sia giunta inattesa.

Improvvisamente, in tutto il mondo, uomini e donne hanno iniziato a domandarsi se esista – per loro – un ruolo nel nuovo futuro che sta prendendo forma nell'economia globale.

Lavoratori con anni di esperienza, istruzione e competenze tecniche si trovano ad affrontare la concreta prospettiva di diventare inutili a causa delle nuove forze dell'automazione e dell'informatica."

Cit. da "La fine del lavoro" di Jeremy Rifkin - 1995
(Nuova edizione Oscar Mondadori 2004)